Giovanna: APPUNTI ROSSO MATTONE

Appunti color rosso mattone.
Procediamo veloci a bordo della Toyota bianca, “gongolando” in modo asimmetrico a causa del terreno sconnesso. Musiche tradizionali in sottofondo, autoradio a massimo volume.
Intorno, ai lati della strada di terra rossa, un verde cupo, intenso, intricato. Sopra di noi un cielo colmo di pioggia, ma non ancora intenzionato a liberarla.

Padre Nazario ogni tanto mi guarda sorridendo con quei suoi dentoni bianchi da uomo buono, felice di procedere fiero nel suo territorio, nella sua “contea”, come un Robin Hood evoluto che dispensa aiuti alle famiglie bisognose dei villaggi nella foresta.
Famiglie “colorate”. Bimbi curiosi, uomini allegri e donne formose mi scrutano con i loro grandi occhi scuri, ma non mi imbarazzo. Gli sorrido e questa è un’arma potente, che scioglie ogni tensione o timidezza.

Altri camminano chini sotto le ceste ricolme di foglie di tè, traballanti su quelle moto anni ‘70 troppo instabili sotto al peso di persone, taniche, tubi, scatoloni.

Bellissimo. Mi sento in un film, forse lo sono e – a mia insaputa- sono uno dei protagonisti.

Vorrei fare dieci, cento, mille foto, ma padre Nazario procede a velocità troppo sostenuta e le poche pause richieste per riprendere le piantagioni di tè, sebbene concesse senza troppa difficoltà, so che ritarderanno il suo inteso programma ed il suo arrivo alla cena che l’Archbishop ha organizzato ad Embu.

Così quelle immagini forti e cariche di emozioni restano impresse solo nella mia memoria.
La lunga strada in salita, una saliscendi armonioso, una lingua rossa che attraversa il verde “immenso” e sul ciglio piccole figure che procedono lente, costanti, verso l’orizzonte.
Quelle piccole ed esili forme là si fermano, ma solo per i miei occhi, stagliate su di un cielo rosa-azzurro che sembra una pennellata sulla parete di una cameretta di chi non vuol sapere se il nascituro sarà maschio o femmina.

Me lo chiedo in quest’istante: sono forse in paradiso? Un paradiso meno edulcorato di quello che ci immaginiamo spesso, ma un paradiso di forme, gesti, lentezza e quotidianità.

Padre Nazario si accosta a tre bimbi che hanno le ceste vuote. Arrivo ad un soffio dall’ardire di chiedere di fotografarli, il mio dito nascosto accende la macchina fotografica ed attende.
Occhi neri che “bucano”, pelle indurita dal sole, infinita dolcezza nella loro stanchezza.
Indugio, li guardo, mi guardano e vorrei tanto portarmeli con me, lontano, anche solo con uno scatto da rivedere nei momenti di tristezza, quando la malinconia e la solitudine ti prendono lo stomaco e gli sferrano un pugno che non dà scampo.

Mi sorridono ed io sorrido. Sono istanti lunghissimi. Ad un certo punto, a malincuore, depongo la macchina fotografica e li inquadro con l’unico mezzo che non potrà commettere errori: li guardo con il mio cuore, con i miei sensi, li accolgo con il mio sorriso. Fatta, scattata! Un’istantanea che resterà per sempre con me, senza testimonianza se non quella delle mie parole.

Ci sono vari livelli di condivisione, vari di comunicazione e vari di rispetto. Sono felice perché faccio “la scelta migliore”. Ci salutano con le loro manine sporche di terra e noi ci allontaniamo rombando su quella Toyota che sembra una sala di mambo o qualcosa di molto simile.

Ci si para di fronte una moto con due persone e – di traverso sul portapacchi – un tubo di plastica che a me pare lunghissimo, tanto da pensare che questa volta anche il buon padre Nazario si dovrà arrendere e fare marcia indietro.
Invece, con mosse assolutamente coordinate, senza perdere nemmeno tanto tempo, la moto è miracolosamente dietro di noi e la Toyota procede sulla salita, sempre più veloce per paura di inabissarsi nel fango e non uscirne più.

….

Ai lati, nascoste nella radura, spuntano qua e là piccole capanne, personaggi sorridenti indaffarati nelle attività più disparate ci salutano con calore. Forse sono davvero in un film.

E poco dopo infatti, una scena “surreale” che forse solo in Africa può accadere o che forse proprio solo lì, a Kairuri , ha un senso, perché già a Nairobi l’epilogo sarebbe ben diverso.
Ad un tornante della strada fangosa, due moto con passeggeri ed ingombrante mercanzia al seguito, in modo del tutto involontario, si toccano con gli specchietti e scivolano al suolo. Mi aspetto che si rialzino imprecando ed incolpandosi a vicenda. Dimentico che siamo in Africa: sorridono tutti!

La donna vestita con colorati abiti locali, truccata e ben pettinata, si toglie con gesto lento e rassegnato le belle scarpe “all’occidentale” e resta con i suoi piedini scuri “a mollo” in quella poltiglia rosso mattone che proprio gradevole non deve essere. Chiediamo se serve aiuto, ma tutto sembra già risolto. Lesti i due conducenti rialzano i loro “bolidi” e recuperano il materiale sparpagliato qua e là.

Non riesco a trattenere una risata, mentre padre Nazario alza il volume della radio e, sempre sorridendo e salutando (un po’ come il Papa dalla papamobile) riprende la sua marcia.

Di film sembra proprio trattarsi quando varchiamo il cancello della parrocchia di St Ambrose.
Il giovane prete “nero” (confesso, me lo chiedo, “ma quanto è nero?”) con fare solenne, alzando il braccio sinistro, indica un punto nel giardino. “That is the tree” dice, riferendosi all’albero a cui è stato appeso il guardiano del compound, ucciso qualche giorno prima e poi lasciato penzolare durante la notte. L’ha trovato lui la mattina -mi racconta- insieme al cane sgozzato….
Chiedo di non aggiungere ulteriori particolare agghiaccianti e – se possibile – di non lasciarmi sola per lungo tempo in auto in quel luogo. “Only 5 minutes”, il tempo di lasciare un pesce in frigorifero (temo di aver capito male, ma anche ripetuta la parola suona proprio come fish). Subito dopo è fuori, sorridente…

E’ tempo si tornare verso casa, dalle mie sisters e dai miei bambini, al mio nido africano, luogo magico e colmo di poesia. La sera a cena, racconto senza imbarazzo le rocambolesche immagini che mi sono passate davanti nel pomeriggio.

Un privilegio, certo, non riesco a pensare che non possa essere altro se non un grandissimo privilegio…

Giovanna

Luciano Zapponi

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