Melania: la mia esperienza come infermiera ad Ithanga

Sarà difficile trasmettere in una manciata di parole quella che è stata la mia esperienza come infermiera all’Assumption of Mary – Ithanga Mission Hospital.
Come raccontare in poche righe la tenacia e la forza di Chiara, L’autorevolezza accogliente di Sister Silvia, La vitalità di Sister Margareth e la pacatezza di Sister Rose?
L’attaccamento alla vita che trasmettono i Tomaini; la gioia nel far nascere un bambino, la paura del mettersi alla prova e le difficoltà linguistiche incontrate. Le ansie e gli sconforti ma anche le gioie e le soddisfazioni.
Sono arrivata ad Ithanga un pomeriggio di giugno, dopo due notti di lavoro ed una terza passata a viaggiare.Dopo infinite raccomandazioni ed altrettanti tentativi di farmi desistere.
Accolta all’aereoporto di Nairobi da Chiara e Mohamed ( il magico driver tuttofare della missione ) ci dirigiamo dapprima verso Thika , per l’acquisto di cibo per il gruppo di auto mutuo aiuto seguito dalla missione, ed infine verso Ithanga.
Sono di poche parole, ascolto con attenzione le parole di Chiara e Mohamed, mi faccio invadere da colori,suoni ed odori che mi circondano mentre continuo a ripetermi, come per convincermi che stia succedendo davvero : ” Sei in Africa. Sei finalmente in Africa”.
Mi sento sballottata e confusa all’arrivo, inizio a sentire il peso delle notti insonni e la preoccupazione di non poter rasserenare casa del mio arrivo. Tento di distrarmi raggiungendo Chiara in cucina , cercando di rendermi utile alla preparazione della cena con scarsi risultati, ma ciò mi da modo di iniziare a conoscere la persona sorprendente e straordinariamente forte e tenace che sarà il mio punto di riferimento in questo mese.
Le sisters ci raggiungono per l’ora di cena, e ho modo di presentarmi nello stato abbastanza pietoso in cui sono. La cena trascorre serena, e approfitto dei loro discorsi a tratti incomprensibili per riflettere e pensare a cosa sto per fare.
La serata si conclude con Chiara a cercare di orientarmi e a smorzare la tensione di questa prima notte.
I giorni iniziano ad ingranare, sabato e domenica mi permettono di entrare in punta di piedi nella realtà che mi circonda, fra abitudini e riti . Mi da modo di conoscere il personale del centro medico della missione con cui collaborerò .
Sebbene non veda l’ora di iniziare a lavorare , lunedì con Sister Silvia e Chiara ci rechiamo al pranzo di Gala dall’ambasciatore italiano per la festa della repubblica. Fra orchestre, camerieri, cibo e bevande mi sento un po’ fuori luogo col mio abbigliamento “sportivo” e mi chiedo come ho fatto a pensare che avrei sofferto la fame. E che mi sarei abbronzata soprattutto.
I primi giorni al lavoro risultano tosti, non tanto per il carico di lavoro quanto per la difficoltà di spogliarsi di una metodologia di lavoro “occidentale” per calarsi in quella consona a queste realtà. Politiche rigide sullo spreco e sull’utilizzo di materiale unita ad una clientela pediatrica non indifferente mi obbligano ad accelerare il mio percorso di adattamento.
E’ Anne ad affiancarmi in questi primi giorni, con una pazienza infinita ed una curiosità non indifferente nei confronti della mia realtà lavorativa, dando spazio a confonti e stupori generali: I miei sulla gestione delle urgenze e i suoi ( e non solo ) sulla totale assenza di malaria in Italia ( Credo siano cadute delle mascelle quando ho dichiarato apertamente di non averla mai contratta)c
Il tempo passa ed io tento di apprendere quanto più possibile , di confrontarmi e di allenare le mie scarsissime competenze linguistiche. Grazie a Michael , un arzillo 96enne ho modo di provare a comunicare in Shwaili. Ride dei miei tentativi e , tramite i miei colleghi, mi dice,entusiasta, di essere stato in Italia durante la guerra , esclamando : “PIZZA” nell’ilarità generale.
La domenica è giorno di Gita. Ora di partenza prevista 8.30/9.00 partenza effettiva 12.30/13.00: la prossima volta che mi danno della ritardataria racconterò di questa giornata.
Dopo aver acquistato della carne alla brace nel villaggio vicino, famoso per questa specialità, attraversiamo un fiume ed un lago con innumerevoli soste fotografiche, fino ad approdare sulle rive della contea di Embu, mangiare degli splendidi Chapati e dei Mandasi da capogiro e tornare verso casa. Una giornata spettacolare che si conclude con l’assistenza al mio primo parto.
Le settimane scorrono senza che me ne renda conto, inizio anche ad approcciarmi al mondo della maternità riuscendo a condurre qualche parto con l’aiuto dei colleghi, mi propongo e mi butto nelle esperienze assetata di conoscenze. Dai parti ai trasferimenti in ambulanza alla scoperta delle realtà sanitarie limitrofe per rendere la mia esperienza il più completa possibile.
Finalmente riesco a ritagliarmi dell’autonomia all’interno dell’ospedale, non tanto sulle pratiche quanto sull’interazione coi pazienti e sulla metodologia di trattamento degli stessi. Ho modo di approcciarmi a diverse tipologie di pazienti, alcuni dei miei colleghi tendono a coinvolgermi con piacere nelle attività mediche, infermieristiche ed ostetriche Sebbene non sarei mai stata in grado di abituarmi al loro ritmo pacato dell’urgenza.
Il mio mese volge al termine e mi sembra impossibile che sia gia passato tutti questo tempo.
Il mio ultimo Giovedì vengo invitata a pranzo da Tomaini: il gruppo di auto mutuo aiuto composto da persone sieropositive che attraverso l’esecuzione di lavori artigianali e la successiva vendita si mantiene, ricevendo mensilmente generi alimentari come Farina, Zucchero e legumi. Descrivere l’esperienza travolgente è difficile, parlare della voglia di vivere e della vitalità che viene percepita dal contatto con loro ancora di più.
Dopo un pranzo tipico a base di ugali, riso , verdure e stufato passeggiamo fino a Small Heaven la collina panoramica da cui è possibile ammirare tutta Ithanga. Qui vengo assorbita totalmente dalla natura sconfinata cui fa fa cornice la musica e la danza di questi personaggi così colorati e così poco malati da avere i brividi nonostante il raro sole cocente di questo mese. Parlare con loro, vederne i sorrisi e scoprirne le storie è così straordinariamente devastante che sentirmi una nullità in questa grande distesa di verde ed energia è una conseguenza ovvia. Sono al limite della commozione quando l’ultimo canto dopo la preghiera di rito viene dedicato a me. Chiara mi spiega che mi stanno benedicendo. E io sono immensamente felice ed emozionata di ricevere tanta bontà, al di la del significato religioso così sentito in questa parte di mondo, quanto per l’energia e la simbolicità di questo gesto.
Il mio viaggio giunge al termine , non prima di poter andare a rivolgere il mio ultimo saluto al mio primo paziente. Michael muore una notte di giugno e durante un pomeriggio assolato si svolgerà la festa del suo funerale. Parlo di festa con cognizione di causa: bibite, cibo e canti unite alle foto di rito rendono tangibile la diversa concezione di morte che aleggia in questa terra così ricca, misteriosa e colorata.
L’ultima sera le Sisters e Chiara mi salutano con una festicciola a sopresa con canti e regali. Impossibile che il tempo sia volato così in fretta e che le ansie della prima sera si siano sgretolate lasciandomi la possibilità di vivere questa realtà così apparentemente lontana ma così dannatamente sovrapponibile alla mia. Come le mie ansie e le mie preoccupazioni siano state accolte, capite e superate permettendomi di imparare tanto e di conoscere.
Gli ultimi due giorni li trascorro a Nairobi concedendomi del sano turismo fra giraffe ed elefanti prima di iniziare il lungo viaggio verso casa.
E’ impressionante pensare che alla base di un viaggio come questo ci sia la voglia di andare a fare del bene, ma a fare un bilancio di questa esperienza è l’Africa, il Kenya coi suoi abitanti che hanno insegnato qualcosa a me. Non sono due mondi distinti ma la stessa medesima natura umana che si adatta alla realtà che ci circonda. Gli stessi pregi e difetti di una realtà occidentale sono tangibili in un villaggio africano ai confini della civiltà.
In questo mese ho mangiato cibi che mai avrei toccato in Italia, viaggiato su strade sterrate su di una moto, senza casco insieme ad altri due passeggeri. Mangiato mango e cocco appena colti dagli alberi, assaporato la povertà e lottato contro resistenze culturali. La bellezza e la comodità di una sanità gratuita e di strutture all’avanguardia, ma anche imparato ad arrangiarmi con quello che avevo e sfruttare al massimo le potenzialità e gli utilizzi degli strumenti a mia disposzione.
Ho provato sulla mia pelle cosa voglia dire essere quella diversa.
E non potrò mai ringraziare abbastanza l’Africa e tutti coloro che me l’hanno fatta scoprire.

Paolo Bigi

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