Federico e Giovanni di Maisha al Campo Profughi di Ritsona, Grecia

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Il campo profughi di Ritsona (a circa due ore di macchina a nord di Atene) ospita indicativamente 500 persone di diversa etnia e provenienza ma in maggioranza siriani. È difficile stabilirne il numero con esattezza in quanto, non essendo presenti recinzioni che lo delimitino, è difficile la conta e permane una certa variabilità. Tutti sono in attesa di conoscere la propria sorte. Tutti devono essere tutti pre-registrati e registrati per poter fare domanda di asilo, chiedere il ricongiungimento familiare perché hanno parenti negli altri Paesi dell’Unione e anche chi sa di non avere alcuna possibilità e spera soltanto di non essere rimandato indietro.

All’interno del campo, sotto il sole cocente ed attaccate l’una all’altra, sono presenti circa 155 tende che ospitano i profughi per gruppi familiari. Sono presenti molti bambini.

Oltre alla nostra, operano nel Campo altre organizzazioni di volontariato quali la Croce Rossa.

Echo100plus gestisce la “warehouse” in un ex magazzino militare al cui interno sono stati stipati diversi beni di prima necessità.

È l’unica struttura dotata di elettricità ed è organizzata per stanze: clothes, food, hygiene.

La più grande è adibita alla raccolta di vestiti che vengono poi suddivisi per genere e taglia e organizzati in scatoloni. La distribuzione, per una serie di ragioni, risulta piuttosto complessa.

La stanza dell’igiene raccoglie prodotti ad uso personale che vengono distribuiti due volte a settimana, come spazzolini da denti (il 90% dei rifugiati non li usa), shampoo, pannolini, salviette umidificate, ecc.

L’ultima stanza è destinata ai viveri; tre volte giorno poco prima dei pasti vengono consegnati dal catering dell’esercito succhi d’arancia, pane, brioches, arance/pesche, acqua, formaggio, latte e un pasto che varia, normalmente verdura cotta con salsa di pomodoro o pasta.

(Il cibo consegnato dall’esercito assicura ad ogni rifugiato un apporto giornaliero di 2000 kcal).

Le condizioni igieniche del campo sono critiche: sono presenti meno di dieci prese per l’elettricità che ovviamente non sono sufficienti per 155 tende. L’acqua diversa da quella che viene consegnata giornalmente da echo100plus, è tossica in quanto contenente arsenico. Le temperature sono mediamente intorno ai 35-38 gradi, nelle tende arrivano fino a 45/50 gradi.

Alla nostra partenza echo100plus ha distribuito un piccolo ventilatore a pile per tenda (meglio che niente). I bagni mobili sono i classici “chimici”, le loro condizioni igieniche sono pessime tra mosche, odori e sporcizia.

I compiti routinari dei volontari di Echo100plus consistono nello scaricare i camion dell’esercito e la distribuzione dei pasti ad orari prestabiliti, durante i quali un rifugiato per ogni tenda consegna un biglietto allo sportello sul quale è indicato il numero di adulti, ragazzi e bambini presenti. Per ogni fascia d’età corrisponde una razione prestabilita.

In aggiunta alla distribuzione di beni primari, Echo100plus si occupa di altri progetti all’interno del campo, allo scopo di impegnare i rifugiati in attività diverse. Le proposte spaziano dalle lezioni di yoga alla carpenteria. Sebbene spesso nascano tensioni dovuti ai turni, al caldo eccessivo e ad un’organizzazione ancora imperfetta, sono progetti ben visti e accolti con entusiasmo. Altre organizzazioni impartiscono lezioni di inglese ai ragazzi e prestano assistenza sanitaria.

Un progetto nascente è legato alla sartoria, attualmente Echo100plus è in possesso di 5 macchine da cucire, soltanto una però viene utilizzata due volte a settimana dall’unico sarto presente tra i rifugiati e si occupa appunto di aggiustare e sistemare i vestiti di coloro che ne hanno bisogno.

Il progetto prevede un allargamento nell’utilizzo delle macchine, creando, se possibile, uno spazio apposito e insegnando ad altri rifugiati le basi per cucire e aggiustare vestiti.

Ogni associazione svolge, al campo, i propri compiti in modo pressoché indipendente.

Giovanni ed io nei dieci giorni di permanenza ci siamo occupati, oltre ai compiti routinari descritti sopra, del progetto “carpenteria”. Quando siamo arrivati era stato appena avviato da un ragazzo austriaco, ormai in partenza, che ci ha introdotti a quanto fatto e passato il testimone.

Il progetto consiste nel fornire ai rifugiati legno, pallets e strumenti necessari per costruire ciò di cui hanno bisogno nelle tende, ad esempio letti, tavoli, porte o sedie.

Per poter accedere alla carpenteria è necessario registrarsi ed attendere il proprio turno, in quanto la richiesta è notevole ma la struttura, il legno e gli strumenti a disposizione limitati, il che permette solamente a quattro o cinque persone alla volta l’accesso.

Il ritmo di lavoro, in questi dieci giorni, è stato molto intenso. Una permanenza più lunga avrebbe sicuramente potuto creare le occasioni per approfondire il dialogo o la conoscenza diretta di qualche persona alloggiata al Campo. Altri volontari, ad esempio, sono stati invitati nelle tende per bere un caffè o per condividere, insieme alla cena, i racconti.

Ho potuto osservare che molte persone, fra i profughi, si sono rese disponibili a prestare servizi alla comunità come aiutare a scaricare il furgone o raccogliere l’immondizia. Sicuramente, come già il sarto, sarebbe interessante poter impiegare le professionalità per il bene comune ed è in quest’ottica che i volontari cercano di dare un contributo organizzativo.

Ogni passaggio di aereo è fonte di inquietudine per chi proviene da paesi in guerra. Il tapparsi le orecchie o, semplicemente, le espressioni impaurite, rimandano a scenari angoscianti.

Il tema “profughi” è troppo complesso per ridurlo a considerazioni superficiali di pietismo o, viceversa, di critica. Certo è che l’occhio del mondo non può ignorarlo e la Comunità Internazionale dovrebbe impegnarsi affinché questa migrazione umana sia proporzionata, regolamentata, guidata con una mediazione culturale che i volontari, soli, non possono sostenere. Come volontari possiamo solo venire in aiuto ad altri esseri umani…

Federico e Giovanni

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Paolo Bigi

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